Articolo integralmente riprodotto dal sito www.area.fi.cnr.it

 L A   S T O R I A  D E L  C L I M A 
di Michele Colacino

 

La ricostruzione dei climi del passato

Fig. 4: ritratto del Granduca di Toscana, Ferdinando II

 

Fig. 5: frontespizio del "Saggio di naturali esperienze" con il logo dell'Accademia del Cimento
 

2.2 Prove documentarie

Se le prove di campo richiedono le competenze di ricercatori attivi nell'ambito delle scienze fisiche e naturali, l'insieme dei documenti sui quali può e deve essere eseguita l'indagine climatica richiede il contributo di studiosi provenienti anche dal mondo umanistico. Il termine prove documentarie, infatti, indica nel suo complesso le informazioni cosiddette storiche, che comprendono sia tutte le notizie che si possono ricavare circa il clima e le sue bizzarrie da fonti scritte di natura diversa (libri, diari di bordo, antiche cronache, documenti di archivi laici ed ecclesiastici,...), sia le serie quantitative di dati di osservazione e misura. Queste serie sono molto numerose in Italia perché, come è ben noto, la meteorologia osservativa ha avuto origine nel nostro Paese nella seconda metà del XVII secolo, allorché presso la Corte del Granduca di Toscana venne creata l'Accademia del Cimento (fig. 4). Questa, formata da discepoli di Galileo, si dedicò esclusivamente alle ricerche sperimentali e, seguendo la moda scientifica del tempo, concentrò la sua attenzione anche e soprattutto sull'atmosfera ed i suoi fenomeni. Gli studi portarono alla realizzazione dei primi strumenti di misura (termometri, barometri ed igrometri) ed allo svolgimento, con questi ultimi, di esperienze di laboratorio ed osservazioni in campo finalizzate alla comprensione dei processi che, con termine moderno, potremmo definire meteorologici. I risultati di queste esperienze furono raccolti a cura del Segretario dell'Accademia, Lorenzo Magalotti, nel volume "Saggi di naturali esperienze", che venne all'epoca molto apprezzato tanto da essere tradotto anche in lingua inglese (fig. 5). Lo stesso Granduca, appassionato di scienza, oltre ad assicurare la sua protezione all'Accademia, sostenne la realizzazione della prima rete di rilevamento che, concepita in modo moderno, funzionò per circa un decennio tra il 1654 ed il 1664. La rete che comprendeva stazioni in Italia ed all'estero, era munita di strumenti forniti tutti dalla corte del Granduca e prevedeva anche una uniformità nella loro esposizione e nella lettura dei dati in modo che questi potessero essere comparabili (fig. 6). Al termine del periodo di funzionamento alcuni concetti erano ben radicati nella comunità scientifica: i) l'importanza delle osservazioni sperimentali e delle misure quantitative dei parametri che caratterizzano lo stato fisico dell'aria (vale la pena di ricordare che da Firenze barometri e termometri si diffusero in tutta Europa); ii) l'importanza della standardizzazione delle misure, della esposizione degli strumenti, della metodologia di osservazione; iii) l'importanza della scala spaziale nelle analisi meteorologiche, da cui deriva che le osservazioni in una singola località hanno scarso significato se non inserite in un più ampio contesto. A poco a poco le idee ed i metodi degli Accademici fiorentini si diffusero nel vecchio continente e quando nel 1782 venne creata a Mannheim la Società Meteorologica Palatina, misure ed osservazioni strumentali erano condotte già da diverso tempo nelle principali città europee a cura di Accademie, Società Scientifiche e singoli studiosi, tanto che la rete promossa dal Palatinato giunse a comprendere oltre 35 stazioni che andavano dall'Atlantico agli Urali, dalla Scandinavia al Mediterraneo.

Fig. 6: termometri ed igrometri usati nella rete medicea

Le misure, come nel caso della rete medicea, erano eseguite con strumenti forniti dalla Corte del Palatinato, dalla quale provenivano anche indicazioni precise e tassative sulle modalità di esecuzione e sulle ore dei rilevamenti. Tutti i dati, così raccolti, erano inviati al Reverendo Jacob Hemmer, segretario della Società e coordinatore dell'iniziativa, il quale dopo un attento controllo ne curava la pubblicazione su volumi editi annualmente. Questi libri, che riportavano anche articoli scientifici, redatti dai responsabili dei diversi osservatori a corredo delle loro misure e riguardanti i principali fenomeni ed eventi geofisici (inondazioni, siccità, terremoti, eruzioni vulcaniche) occorsi nell'anno, costituiscono, sia pure su supporto cartaceo, la prima banca dati disponibile per il nostro continente. Si può affermare, infatti, che la rete della Società di Mannheim rappresenta la prima rete meteorologica continentale, la cui eredità si è concretizzata nella messa a punto di una serie di stazioni e in una metodologia di misura che si è conservata fino ai nostri giorni. In Italia furono inserite nella rete palatina Roma, Bologna, Padova e Chioggia, ma molti altri osservatori eseguivano rilevamenti sistematici di parametri meteorologici, tanto che serie di dati ultrasecolari sono disponibili in osservatori e stazioni che coprono praticamente l'intera penisola. Ovviamente i dati delle serie storiche prima di essere usati per le elaborazioni climatiche vanno attentamente rivisti e le serie debbono essere valutate in termini di attendibilità, rappresentatività, continuità ed omogeneità. È evidente, infatti, che, mancando anche uno dei requisiti sopra indicati, la serie non può fornire indicazioni utili al fine di valutare il cambiamento del clima, specie per quanto riguarda la temperatura dell'aria. La variazione di questo parametro negli ultimi 150÷100 anni è stimata nell'ordine di 0,5÷0,6 ·C e quindi, come è facile intuire, si tratta di un segnale molto piccolo che va rilevato in un fondo, che potrebbe arrivare a coprirlo. Un esempio al riguardo è rappresentato dalle misure eseguite in osservatori ubicati nei centri urbani: è dimostrato che le città agiscono come sorgenti termiche (isole urbane di calore) e che la temperatura in città, a parità delle altre condizioni, è più alta di quella delle zone rurali circostanti, e che la differenza è tanto maggiore quanto più grande è l'agglomerato urbano. Da quanto detto discende immediatamente che una serie secolare di temperature, rilevate in città, va vagliata attentamente perché nel corso di 100 ÷ 150 anni le dimensioni delle città si sono notevolmente modificate e, quindi, la temperatura misurata oggi non può essere confrontata con quella di un secolo fa se non dopo un'opportuna correzione.

Le serie storiche di dati consentono, tuttavia, di risalire indietro nel tempo al massimo di circa 200 anni che sono ben poca cosa se si pensa alla storia dell'umanità, che si intreccia strettamente con la storia del clima. Si deve quindi fare ricorso ad altre sorgenti di informazione storica. In questo settore il materiale disponibile è enorme e richiede competenze che vanno attinte in ambito umanistico-storico, perché i documenti prima di essere utilizzati per la ricostruzione del clima debbono essere attentamente esaminati. Possono essere utili indicatori dell'andamento del clima le descrizioni di eventi catastrofici come le piene dei fiumi, quelle di fatti economici come i costi dei prodotti agricoli, le date delle vendemmie o quelle della fioritura del mandorlo, le osservazioni dei comandanti dei velieri che attraversavano l'oceano riportate nei libri di bordo, o quelle dei viaggiatori che attraversavano le Alpi dando indicazioni sui valichi e sull'estensione dei ghiacciai. La lista potrebbe ovviamente allungarsi di molto: mi limito a ricordare che attraverso queste prove indirette è stato possibile ricostruire, tanto per citare qualche esempio, la cronologia degli eventi di El Niño (Tabella 1), del ghiacciamento della laguna di Venezia, delle piene e delle esondazioni del Tevere. Un settore che si sta particolarmente sviluppando in questo ambito è quello legato alla consultazione di libri parrocchiali, relativi alla descrizione di particolari liturgie come novene, tridui e processioni, effettuate in occasione di eventi climatici estremi come alluvioni, trombe d'aria e soprattutto siccità. Al proposito il climatologo inglese Hubert H. Lamb in un suo libro scriveva già negli anni Ottanta: "È fortemente auspicabile che i documenti degli archivi delle cattedrali di Spagna e d'Italia possano un giorno essere studiati sistematicamente per ciò che essi contengono come informazioni di prima mano sul clima del Mediterraneo".

3. La ricostruzione dei climi del passato

Utilizzando tutte le metodologie di indagine sommariamente descritte nel precedente paragrafo, è stato possibile ricostruire, almeno a grandi linee, la storia climatica della Terra.

In particolare, è ormai ben noto che il clima nell'ultimo milione di anni (Pleistocene) ha oscillato tra fasi glaciali ed interglaciali con una periodicità di circa 100.000 anni e che l'ultima glaciazione ha raggiunto il suo culmine circa 20.000 anni orsono.

Un visitatore extraterrestre, che fosse approdato sul nostro Pianeta durante le fasi fredde, avrebbe trovato, anche non tenendo in conto le modifiche dovute ai progressi dell'uomo, un ambiente molto diverso da quello attuale. Innanzi tutto le calotte polari erano molto più estese: nell'emisfero settentrionale coprivano terre ed oceano fino alla latitudine di 50·. Questo significa che in Nord America erano totalmente ghiacciate la zona dei grandi laghi, la baia di Hudson, mentre nella zona occidentale il ghiaccio, che copriva lo stretto di Bering, assicurava un collegamento diretto tra America ed Asia. In Europa sotto la coltre bianca era tutta la Scandinavia e la Germania settentrionale. Molto più estesi erano anche i ghiacciai continentali con il limite delle nevi di diverse centinaia di metri più in basso rispetto a quello attuale. La temperatura dell'aria era in media 6÷8 ·C inferiore rispetto ad oggi, ma questa differenza non era uniforme, poiché si andava dallo scarto molto piccolo di 1 o 2 ·C nelle zone equatoriali a quello molto più marcato di 14÷16 ·C nelle aree continentali delle alte latitudini. Naturalmente questo andamento delle temperature determinava un progressivo spostamento verso l'Equatore delle varie fasce climatiche: si riscontrava nella Germania centro-meridionale quello che è ora il clima della Scandinavia, mentre le regioni a clima temperato si avvicinavano ai tropici. Oltre che sulla temperatura dell'aria, le evidenze di campo forniscono informazioni anche sullo stato dell'oceano. Questo presentava una temperatura di 2÷3 ·C inferiore a quella odierna, ma la caratteristica più saliente era rappresentata dal fatto che la grande estensione delle calotte polari aveva provocato come conseguenza un abbassamento di oltre 100 metri del livello medio rispetto a quello che si misura attualmente. Molte terre, ora sommerse, allora emergevano dalla superficie liquida ed il paesaggio era molto diverso da quello al quale siamo abituati. Se si pensa al Mediterraneo, nel bacino occidentale, Sardegna e Corsica formavano un'unica isola di dimensioni maggiori di quella corrispondente alla somma delle due, mentre ad Est il mare Adriatico si spingeva verso Nord solo fino all'altezza del Gargano.

Con riferimento poi ai parametri atmosferici, va anche aggiunto che la temperatura dell'aria era di circa 6·C inferiore rispetto a quella dei nostri giorni, ma anche allora tendeva a crescere lungo la direttrice Nord-Ovest, Sud-Est. Infine, si può dire che, nel complesso, quelle che sono le caratteristiche tipiche del clima mediterraneo si riscontravano soltanto sulla sponda africana del bacino: dove ora c'è il deserto vi era una fiorente vegetazione alimentata da abbondanti precipitazioni. Di queste ultime resta traccia nelle acque "fossili", rinvenute nel sottosuolo del Sahara, che la datazione con il metodo del carbonio 14 fa risalire appunto a 20.000 anni fa.

I dati sono molto più incerti riguardo al regime idrologico, anche se si può pensare che globalmente si avesse una minore precipitazione, sia perché la bassa temperatura riduce l'evaporazione rendendo l'atmosfera più secca sia perché spesso alle basse temperature sono associati anticicloni termici, che non favoriscono i moti convettivi ai quali è generalmente associato il processo di condensazione del vapore.

Circa 18.000 anni fa i ghiacciai cominciarono a ritirarsi e la temperatura dell'aria iniziò a salire, sia pure lentamente, in un processo di progressivo riscaldamento, che portava il Pianeta nella fase interglaciale, nota come Olocene, nella quale da circa 8.500 anni il Pianeta si trova.

Naturalmente non si deve pensare che il clima in questo lungo periodo sia rimasto uniforme: anche nell'Olocene esso ha subito continue variazioni con l'alternarsi di periodi caldi e freddi. In effetti, da evidenze diverse è possibile ricostruire la sequenza climatica nella quale si distinguono:

Sarebbe molto oltre i limiti del presente articolo descrivere in dettaglio le varie vicissitudini del clima in questo periodo. Ci limitiamo a ricordare i due estremi occorsi durante l'attuale fase interglaciale e, cioè, l'"Ottimo Climatico Post-glaciale" e la "Piccola Età del Ghiaccio".

Fig. 7: ghiacciaio di Gran Cron Montagn in Valle D'Aosta
 

Il progressivo riscaldamento che portava dalla glaciazione all'attuale fase interglaciale culminava intorno al 5500 a. C., nell'inizio del cosiddetto "Ottimo Climatico Post-glaciale", che è stato un periodo particolarmente caldo durato circa tremila anni fino al 2500 a.C. Di fatto sia le evidenze botaniche (pollini, spostamento dei limiti delle foreste), sia le tracce geologiche, sia le analisi isotopiche indicano che nel periodo sopracitato la temperatura era globalmente 2,5÷3 ·C più alta di quella odierna, con punte di 4÷6 ·C nelle alte latitudini. In conseguenza era molto ridotta la estensione dei ghiacci polari e dei ghiacciai continentali (fig. 7), il limite delle nevi era più alto di qualche decina di metri e più alto di circa 4 metri era anche il livello del mare. Conferme a questo quadro derivano non solo dagli studi condotti in Europa ed in America, ma anche dalle ricerche svolte in estremo oriente, soprattutto in Cina e Giappone. Ricercatori di questi paesi riportano per la corrente del Kuro-Shio nell'Oceano Pacifico una temperatura di 4÷5 ·C più alta ed anche su terraferma si registrava un analogo aumento di temperatura. È interessante a questo punto rilevare come questi dati siano molto vicini a quelli che gli attuali modelli di scenario prevedono per l'andamento del clima nel secolo entrante: si vede, quindi, come la ricostruzione di questo periodo climatico sia di estrema importanza per cercare di valutare, mutatis mutandis, quale possa essere l'evoluzione dell'ambiente naturale nell'eventualità che si registri il riscaldamento derivante dal potenziamento antropico dell'effetto serra.

Questo periodo di clima caldo riveste un particolare interesse anche dal punto di vista dell'evoluzione culturale dell'umanità. Secondo alcuni studiosi, infatti, si sono determinate in tale fase le condizioni ambientali favorevoli all'avvio della domesticazione delle piante e degli animali da parte dell'uomo, il quale cambiava così radicalmente il suo modo di vivere trasformandosi da cacciatore-raccoglitore ad agricoltore: non a caso i primi insediamenti agricoli del neolitico vengono datati dagli archeologi intorno al 7000 a.C.

Se la ricostruzione dell'"Ottimo Climatico Post-glaciale" è stata possibile attraverso le prove di campo, quella della "Piccola Età del Ghiaccio" è invece corroborata soprattutto da prove documentarie. Su questo periodo la massa di informazioni storiche, deducibili cioè da fonti scritte, è enorme e riguarda sia l'Europa che l'America. Descrizioni della distribuzione dei ghiacci nella baia di Hudson sono riportate nei libri di bordo delle navi delle compagnie che gestivano il traffico delle pelli tra il Vecchio ed il Nuovo Continente; annali e scritti di vario genere danno il quadro della situazione climatica in Islanda e nella Scandinavia e sempre da sorgenti storiche deriva il quadro climatico di quegli anni nella Russia europea ed asiatica. Deve essere, infine, sottolineato che proprio basandosi sulle date delle vendemmie in Francia lo storico Le Roy-Ladurie ha fissato i limiti di questo periodo tra il 1550 ed il 1850. La data d'inizio ha trovato poi conferma in evidenze di campo, come i dati dendroclimatici e quelli relativi alla estensione dei ghiacciai, mentre la fine di questo periodo freddo è messa bene in evidenza dalla analisi dei dati quantitativi di temperatura. Dalla metà del secolo scorso, infatti, la temperatura è in crescita anche se ancora non ha raggiunto i valori che aveva nel periodo corrispondente al già citato "Ottimo Climatico Post-glaciale".

Le caratteristiche del clima nella "Piccola Età del Ghiaccio" si possono riassumere in: diminuzione della temperatura media dell'aria di circa 1,5÷2 ·C; espansione delle calotte polari e dei ghiacciai continentali; aumento delle precipitazioni alle medie latitudini; abbassamento dei limiti dei boschi sia in latitudine che in altezza. Naturalmente la "Piccola Età del Ghiaccio" non aveva climaticamente nulla da spartire con le glaciazioni di cui si è detto in precedenza: essa corrisponde ad uno dei periodi freddi della fase di clima sub-Atlantico, che corrisponde al periodo climatico più recente riguardando gli ultimi 3000 anni.

 

Fig. 8: andamento della temperatura dell'aria nell'emisfero nord negli ultimi 130 anni (i dati sono espressi come deviazione della media di riferimento 1951-1980)

Dal 1850 fino al 1950 la temperatura, che è il parametro su cui maggiormente si concentra l'attenzione dei climatologi, è andata crescendo: successivamente essa ha subito una flessione fino al 1975, per riprendere la sua marcia in rialzo nei due decenni successivi nel corso dei quali si sono registrate le temperature più alte del secolo (fig. 8).

Mentre l'andamento della temperatura si presenta abbastanza uniforme su tutto il globo, non altrettanto succede per le precipitazioni, che costituiscono l'altro parametro su cui si concentra per ovvi motivi l'interesse dei climatologi. Le piogge, infatti, sembrano privilegiare le alte latitudini, dove sono in aumento, mentre nelle zone tropicali e subtropicali sembrano essere in diminuzione. Per quanto riguarda il Mediterraneo ed il nostro Paese si può dire che l'andamento termico è in linea con quello registrato altrove (fig. 9); le precipitazioni, invece, mostrano una più o meno marcata tendenza negativa.

Fig. 9: andamento della temperatura dell'aria in Italia negli ultimi 130 anni (i dati sono espressi come deviazione della media di riferimento 1951-1980)

4. Considerazioni conclusive

Quanto sopra descritto sia in termini di metodologie di ricerca sia in termini della storia climatica del Pianeta, spero e mi auguro possa servire a dare l'idea dell'interesse che questi studi hanno nell'ambito delle ricerche climatiche e della loro importanza in relazione al problema di un possibile cambiamento, indotto dalla eccessiva immissione di gas serra in atmosfera.

Va ricordato che anche la comunità scientifica italiana contribuisce in modo non irrilevante all'approfondimento di queste indagini soprattutto per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo. Ricerche sono condotte nei diversi settori: dalla glaciologia, in cui gli studi si concentrano sull'andamento dei ghiacciai alpini, alla dendroclimatologia, dalla palinologia, alle analisi dei sedimenti raccolti nei mari peninsulari. Ma è soprattutto dal campo della climatologia storica che viene il contributo più consistente a questa attività. Abbiamo già detto che in Italia sono disponibili numerose serie secolari di dati strumentali; ma non è soltanto questo aspetto ad essere preso in considerazione: anche altre fonti scritte non quantitative abbondano e sono disponibili con una continuità non riscontrabile in altre Nazioni, poiché da noi alla struttura politica ed organizzativa dello stato romano sono subentrati sistemi di governo centralizzati (Chiesa Cattolica) o locali (Comuni, Signorie, Principati), che hanno promosso la cultura in generale e le osservazioni dei fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche, i terremoti e gli eventi meteorologicamente importanti. Tenuto conto di questa tradizione e della disponibilità di una così vasta mole di documenti da studiare, molti gruppi di ricerca attivi nelle Università e nel CNR hanno sviluppato un lavoro sistematico finalizzato alla ricostruzione del clima nel passato recente. Va ricordato a questo proposito che il CNR ha promosso un progetto strategico proprio su questi argomenti, al quale hanno preso parte sia gruppi universitari sia unità operative presenti in Istituti dell'Ente. Al termine del biennio di attività oltre a numerosi specifici studi sull'andamento del clima nel Mediterraneo, un risultato di particolare rilievo, che merita di essere citato, consiste nella realizzazione su supporto informatico (compact disc) di una Banca di dati secolari, raccolti presso istituti diversi ed, in particolare, presso l'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, che, erede della tradizione dell'Osservatorio del Collegio Romano, è stato il nucleo di partenza del primo servizio meteorologico nazionale creato all'indomani della unità d'Italia. Le serie sono state tutte controllate, verificate in termini di continuità, attendibilità ed omogeneità ed in pratica arrivano a coprire l'intero territorio nazionale. L'iniziativa, che in corso di realizzazione operativa, è stata presentata a Roma nello scorso mese di dicembre 1999 durante un Convegno sul tema "Ricostruzione dei climi del passato nel Mediterraneo" promosso dall'Associazione Geofisica Italiana ed al quale, oltre alle unità operative del progetto, hanno dato interessanti contributi anche altri studiosi impegnati in analoghe ricerche. In particolare, il programma ha previsto sessioni dedicate alla: i) paleoclimatologia con gli studi di glaciologia, paleolimnologia, analisi dei sedimenti e dei carotaggi dei ghiacciai alpini; ii) climatologia storica con presentazioni riguardanti sia la metodologia di lavoro sia la ricostruzione di particolari periodi climatici sulla base di fonti documentarie non quantitative; iii) analisi di numerose serie storiche di dati con contributi finalizzati alla presentazione dell'andamento della temperatura dell'aria e delle precipitazioni in diverse regioni italiane. Questa suddivisione a scala regionale, che potrebbe apparire a prima vista eccessiva, in realtà è molto utile, poiché gli andamenti delle precipitazioni sono abbastanza diversificati tra l'Italia settentrionale e quella meridionale: infatti, mentre al Nord si verifica una leggera diminuzione delle piogge, al Sud la riduzione è molto più marcata e se dovesse continuare questa tendenza, potrebbero aversi negli anni futuri problemi seri di disponibilità delle risorse idriche. Va, infine, sottolineato il fatto che il quadro climatico, emerso dal contributo dei vari relatori, è risultato essere coerente e in sostanza, pur affrontando il problema da angolazioni diverse e con diverse metodologie, i partecipanti hanno trovato che il clima nel Mediterraneo centro-occidentale risulta essere in profonda evoluzione, anche se non è il caso di parlare di cambiamento, essendo l'ampiezza dei segnali ancora compresa nella normale variabilità climatica.

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