Citiamo
qui un articolo tratto dal sito My best life nel
quale è evidenziato uno dei motivi per il quale tutti
noi dovremmo combattere per far si che le nostre città abbiano sempre più
spazi verdi
Articolo riportato in maniera integrale dal sito www.mybestlife.com
VERDE IN CITTA'
Cenni storici e attuali prospettive.
L’uso
della vegetazione negli spazi urbani ha sempre avuto molteplici funzioni:
simboliche, estetiche-ornamentali, produttive e di regolazione del microclima.
La funzione termoregolatrice della vegetazione, nel periodo estivo è
conosciuta fin dai tempi più remoti, in tutta l’area mediterranea.
L’impiego delle piante nelle abitazioni greche, romane, ispano-moresche, ecc.,
associato in modo opportuno ad alcune strutture architettoniche (pergole,
portici, vasche, patii, viridarii), sottolinea la costante ricerca di
raffrescamento estivo.
L’aspetto propriamente utilitaristico del verde compare soprattutto nel mondo
romano dei primi secoli. Durante i secoli dell’impero, il verde assume maggior
rilievo all’interno delle mura cittadine, ma solo come parte inscindibile di
quegli elementi costruttivi che ornano i grandi giardini annessi alle ville
signorili, luoghi deputati agli otia intellettuali dei proprietari, e che
ricreavano l’illusione del verde del territorio agricolo.
Nel Medioevo, il verde all’interno delle mura cittadine e nei monasteri assume
una funzione quasi esclusivamente produttivo-alimentare, come unica fonte di
sussistenza in caso di assedio.
Dal Quattrocento in poi, viene riconsiderata la funzione microclimatica del
verde come umidificatore del microclima (protezione dai venti invernali e dal
caldo estivo), in particolare nel contesto delle ville suburbane.
Nei giardini delle ville del Cinquecento e del Seicento trova ampia diffusione
l’uso della vegetazione come protezione dal vento, il pergolato ricoperto da
vite per le passeggiate nei giorni assolati. Per il resto, il progetto dei
giardini era dominato da aspetti scenografici.
Se prima le antiche città erano integrate alla campagna circostante, con i
primi processi di massiccio inurbamento tale rapporto viene modificato
determinando un conflitto città/campagna. All’interno di un progressivo
processo di espansione urbana, il verde viene ad assumere nuovi ruoli, non più
soltanto simbolici o decorativi.
Nel Settecento, in Francia si ha una prima inversione di tendenza: il verde
assume importanza proprio all’interno degli agglomerati urbani. Nasce così il
concetto di "giardino pubblico"; e le aree da occupare sono quelle di
risulta dall’abbattimento delle mura cittadine e delle cortine murarie. Oltre
alla funzione propriamente ornamentale della vegetazione, ricercata pure con
l’introduzione, spesso inopportuna, di specie esotiche, viene riconosciuta
anche quella igienica, legata alla salubrità dell’aria.
Il fenomeno dei grandi inurbamenti delle città ottocentesche contribuisce
ulteriormente a porre il problema del verde urbano, in termini di soluzione al
degrado ambientale, nonché di vivibilità.
I piani regolatori tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 prevedono,
infatti, ampi spazi da destinare verde pubblico; in seguito, in Italia, esso
rimarrà per lo più superfluo e limitato all’ornato cittadino.
Nella attività urbanistica italiana, le funzioni assegnate al verde rimangono
solamente quelle prescritte come standards urbanistici, con l’obbligo di un
astratto rapporto tra la quantità di aree da destinare a servizi (non
esclusivamente a verde pubblico) e quelle da destinare a edificazioni per
insediamenti, all’interno delle zone funzionali di piano.
La crisi energetica degli anni ’70 sollecita, dapprima in USA e poi in Europa
(Germania, Olanda, Gran Bretagna, ecc.), lo sviluppo di una serie di ricerche
sulla conservazione e il risparmio energetico. Tali studi hanno condotto al
riconoscimento dell’importante funzione microclimatica della vegetazione
stimolandone un impiego "ambientale", per il comfort degli ambienti
antropizzati (interni ed esterni).
Nell’ambito di una coscienza emergente e di fronte agli attuali squilibri
ambientali della città contemporanea, sta prendendo corpo l’idea di una
"green city", ovvero di una rinaturalizzazione della città
attraverso vere e proprie iniziative di integrazione strutturale del verde con
l’ambiente costruito (creazione di orti urbani ed aree boschive, di habitat
per la fauna selvatica, di stagni e zone umide e di corridoi vegetali naturali
ed artificiali, là dove lo spazio orizzontale non consente l’inserimento di
ulteriori ed opportuni spazi verdi).
Ormai si è ben lontani dal considerare il verde come semplice fatto meramente
decorativo, tanto più che esso può contribuire notevolmente a garantire una
elevata qualità abitativa all’interno di una visione ecologica della città.
Si fanno strada, allora, interventi a grande scala, con la riprogettazione delle
aree dismesse, fino a comprendere quelli di risistemazione e di piantumazione di
spazi urbani minori (aree residuali e cortili).
Funzioni del verde urbano
Le funzioni del verde urbano per il controllo ambientale, fino ad oggi riconosciute e dimostrate su basi scientifiche (1), sono quelle di:
variazioni microclimatiche (temperatura, umidità, ventosità);
depurazione dell’aria;
produzione;
attenuazione dei rumori;
azione antisettica;
difesa del suolo;
depurazione idrica;
conservazione della biodiversità.
Le isole di calore urbane e le variazioni microclimatiche apportate dalla vegetazione.
Il
disagio climatico degli ambienti urbani deriva dal surriscaldamento dell’aria,
dovuto sia al calore che alle polveri e agli inquinanti prodotti dalle attività
cittadine e sia alla conformazione del tessuto della città.
Nel centro delle città, la grande concentrazione delle aree edificate e le
pavimentazioni stradali, unite alla elevata conducibilità termica di alcuni
materiali, quale il cemento armato, determinano un assorbimento del 10% in più
di energia solare, rispetto ad una corrispondente area coperta da vegetazione
(2).
Gli spazi "cementificati", inoltre, si riscaldano molto velocemente e
si raffreddano molto lentamente, al contrario di quanto accade nelle campagne
circostanti. La differenza di temperatura tra città e campagna è difatti
massima qualche ora dopo il tramonto ed è minima nelle prime ore del
pomeriggio.
L’accumulo di energia termica e la difficoltà di disperderla poi nello spazio
sono dovuti anche alla forma stessa degli spazi urbani, spesso
caratterizzati da un’edificazione di tipo intensivo.
Andamento
della temperatura a Londra:
i valori della temperatura aumentano proporzionalmente alla densità dei volumi
costruiti.
Le
sezioni delle strade strette determinano effetti multipli di
riflessione/radiazioni tra pareti vicine degli edifici stessi, con conseguente
riscaldamento delle masse d’aria con le quali sono a contatto.
Durante le ore notturne, la situazione non migliora: l’irraggiamento
infrarosso del calore accumulato durante il giorno viene intercettato dagli
edifici che si fronteggiano, anziché disperdersi nello spazio. I sistemi di
condizionamento dell’aria degli ambienti confinati e il traffico autoveicolare
non fanno poi che aggravare la situazione, generando altro calore artificiale.
E’ stato rilevato che nella stagione estiva, alle medie latitudini,
l’aggiunta di calore artificiale equivale al 5-10% dell’energia solare
incidente e che ciò provoca un innalzamento di quasi un grado della temperatura
media di una metropoli e di più gradi in una singola situazione microclimatica
(3).
A parità di umidità e di temperatura, il comfort termico estivo nelle zone
intensamente edificate è peggiore rispetto alle zone periferiche o rurali, a
causa della diminuzione dell’intensità del vento ( 20-30%). La differenza di
temperatura tra Milano-centro e Milano-periferia raggiunge, ad esempio, i 2/3°
C (4).
Diversi studi mettono in evidenza come la presenza della vegetazione nelle città
possa migliorare nettamente le condizioni microclimatiche, grazie ad una
sensibile diminuzione delle temperature.
Le variazioni di temperatura e dell’umidità relativa dell’aria, indotte
dalla presenza della vegetazione, sono dovute principalmente a:
a) riduzione della radiazione solare incidente su edifici ombreggiati da vegetazione.
L’energia
solare che arriva su una massa vegetale viene da questa in parte riflessa,
assorbita e trasmessa, in parte dissipata nell’atmosfera, come calore latente
e calore sensibile, e in parte utilizzata nei processi metabolici.
Le piante, attraverso il processo fotosintetico, trasformano l’energia solare
in energia biochimica; in particolare, esse assorbono radiazione visibile (la più
calda) e perciò la loro presenza diventa rilevante per la determinazione del
microclima di una specifica zona .
E’ stato calcolato che le piante assorbono una percentuale pari al 60 - 90%
della radiazione solare, in relazione ad una serie di variabili che determinano
l’ombreggiamento/assorbimento della radiazione solare, quali la densità della
chioma (fitta o rada), la rapidità di accrescimento e la durata della stessa
(fogliame sempreverde o deciduo nel periodo di fogliazione), la dimensione e la
forma della pianta (altezza massima raggiunta con il suo sviluppo e portamento).
Di qui l’importanza della conoscenza delle caratteristiche fenologiche di ogni
singola specie, per una opportuna selezione delle stesse in fase di progetto di
un’area verde.
Esistono strumentazioni (radiometri) e metodi di analisi computerizzati di
immagini fotografiche che consentono di stimare la riduzione dell’intensità
solare, in funzione della densità della chioma (5).
La scelta all’interno delle specie decidue (diverse per densità di chioma),
è importante quanto la scelta tra specie sempreverdi e decidue.
Per garantire raffrescamento in estate e riscaldamento in inverno, si deve
infatti optare per delle specie con chioma di elevata densità nei mesi caldi e
con basso livello di ombreggiamento nella stagione fredda. Sono stati
determinati, per alcune specie arboree, i coefficienti di ombreggiamento in
epoca invernale e in estate (6); la loro conoscenza dovrebbe essere presa
in attenta considerazione, per una più opportuna selezione delle essenze da
collocare in prossimità di edifici.
La selezione di piante con chioma più o meno densa può contribuire a
modificare i flussi energetici negli edifici adiacenti e quindi le temperature
interne degli stessi.
La densità del fogliame e quindi la capacità dello stesso di filtrare le
radiazioni solari possono comunque dipendere sia dalle condizioni ambientali (di
qui l’importanza dell’amplitudine ecologica delle specie da inserire in uno
specifico ambiente, ossia se sono adattabili o no alle condizioni climatiche del
luogo e di resistere ad eventuali situazioni di stress idrico) e sia dalle
pratiche colturali (importanza della potatura come sistema per controllare
l’aumento della densità della nuova emissione di getti).
L’ombreggiamento della vegetazione può contribuire in modo rilevante al
raffrescamento passivo degli edifici; esso può determinare una riduzione delle
temperature interne e anche uno sfasamento della temperatura massima (la
temperatura dell’aria circostante, da cui dipende il comportamento termico
dell’edificio ombreggiato, raggiunge il suo valore massimo 2-3 ore dopo il
picco della radiazione solare). Con l’impiego della vegetazione in prossimità
degli edifici, si può altresì contribuire a moderare l’uso dei
condizionatori d’aria, che in Italia ha subito ultimamente un incremento del
20%, con conseguente consumo di energia elettrica in estate ed emissione in
atmosfera di grandi quantità di CO2 (7).
b) Modifiche degli scambi radiativi ad onde lunghe tra le superfici e l’ambiente esterno.
Un manto verde emette meno radiazioni all’infrarosso rispetto al terreno o materiali artificiali e, quindi, riduce la temperatura media radiante dell’ambiente. Gli edifici che fronteggiano superfici vegetali (con temperature radianti inferiori rispetto a quelle delle superfici soleggiate ) risentono, perciò, meno delle elevate temperature radianti di strade ed edifici prospicienti.
c) Processi di evapotraspirazione.
L’evapotraspirazione
delle piante è un fenomeno legato alla fotosintesi: le piante, per poter
assumere l’anidride carbonica dell’atmosfera, devono mantenere gli stomi
aperti e in tal modo perdono acqua. Si tratta di grandi quantità di acqua
pompate dal terreno e immesse nell’atmosfera, sotto forma di vapore.
Il passaggio dell’acqua, dallo stato liquido a quello di vapore, avviene nelle
foglie e comporta un assorbimento di energia termica: per ogni grammo di acqua
evaporata occorrono 633 cal.
Considerando che la quantità di calore latente dissipato per traspirazione
dalle superfici vegetali, non soggette a stress idrico, è molto elevata,
risulta che la presenza di aree verdi in ambiente urbano può contribuire
notevolmente a correggere situazioni di surriscaldamento estivo, riducendo
localmente le temperature.
L’energia
solare incidente su ampie zone verdi viene in gran parte utilizzata dalla
vegetazione
per processi traspiratori e fotosintetici, provocando un sensibile abbassamento
della temperatura dell’aria.
In aree urbane densamente edificate, l’energia solare viene riflessa ed assorbita dalle pareti verticali degli edifici, aumentandone così il carico termico.
Una piazza alberata di 100 x 100 m. può arrivare a traspirare fino a 50.000 litri al giorno. Per il passaggio di stato dell’acqua vengono quindi approssimativamente sottratte all’ambiente esterno circa 31.650.000 cal. [energia termica che altrimenti verrebbe assorbita dalle strutture edificate e riflessa sotto forma di calore] (8).
E’ stato verificato che il raffreddamento dovuto alla traspirazione di una pianta di grosse dimensioni equivale alla capacità di cinque condizionatori d’aria di piccola taglia operanti per 20 ore al giorno (9).
Gli effetti microclimatici dovuti alla evapotraspirazione sono riscontrabili soprattutto in aree poco ventilate, ma esposte all’incidenza di una forte radiazione solare (11).
Bisogna comunque considerare che l’abbassamento delle temperature, per effetto dei processi traspiratori delle piante, è minimizzato in presenza di singoli alberi, mentre diventa decisamente sensibile in caso di ampie zone verdi.
Misure sperimentali, condotte in Germania, hanno infatti evidenziato differenze di temperatura, tra zone interne a parchi e aree urbane circostanti, fino a 7° C (12).
L’effetto di riduzione della temperatura, per la presenza di un’area verde, è riscontrabile solo su scala locale e ad una relativa distanza, per via degli scambi convettivi dell’aria che ne riducono l’influenza a scala più ampia. Allo stesso tempo, è stato rilevato come l’incremento di aree verdi in città, attraverso il processo di evapotraspirazione, contribuisca notevolmente a migliorarne le temperature globali estive e a ridurre quindi i consumi elettrici per il condizionamento dell’aria.
Da tali premesse deriva che l’uso del verde urbano va pertanto individuato soprattutto come sistema passivo da integrare opportunamente agli edifici nella città (sia a livello di insediamento di più edifici e sia a livello di singole unità edilizie), per migliorare il microclima estivo e la qualità dell’aria.
La strategia d’intervento possibile, con l’utilizzo della vegetazione integrata al costruito, consiste perciò nell’assicurare una riduzione del flusso termico entrante attraverso l’ombreggiamento, la riflessione della radiazione solare, la riduzione degli scambi convettivi e l’assorbimento di energia solare impiegata per i processi traspiratori e fotosintetici.
Fig.
8 - Effetto schermante della vegetazione -
1 Ombreggiamento - 2 Riflessione - 3 Convezione 4 Evapotraspirazione e processi
fotosintetici.
Vegetazione ed inquinamento atmosferico
La vegetazione nelle città può svolgere un altro ruolo di controllo ambientale: quello di arginare attivamente il problema dell’inquinamento dell’aria, fungendo da elemento filtrante per polveri e gas e costituendo passivamente un prezioso rilevatore della loro presenza.
Diversi studi condotti sugli effetti fitotossici degli inquinanti atmosferici hanno messo in evidenza come le varie specie vegetali reagiscano in maniera differente nei confronti di un certo inquinante. Esse possono presentare una risposta che varia da molto suscettibile (riportando danni anche a seguito di brevi esposizioni e a basse concentrazioni) a notevolmente resistente.
Le piante sensibili possono essere utilizzate come spie, ossia come strumento di monitoraggio, per calcolare i livelli di inquinamento dell’atmosfera; esse, infatti, reagiscono, oltre che con l’indebolimento, anche con diversi sintomi che richiedono comunque una complessa interpretazione: variazioni di sviluppo (riduzione asimmetrica), clorosi (colorazione ai margini o agli apici delle foglie, per disturbi a carico della clorofilla), necrosi (morte delle cellule del mesofillo). Stress idrici e termici e carenze nutrizionali possono dare luogo a sintomi simili a quelli provocati dall’inquinamento. Ci sono comunque piante con sensibilità accertata verso uno o più specifici inquinanti che possono essere quindi utilizzate come vere e proprie sentinelle ecologiche (licheni). L’impiego delle piante spia andrebbe affiancato a quello delle centraline di rilevamento elettronico.
Le specie resistenti possono, invece, costituire degli elementi attivi nella riduzione degli inquinanti atmosferici in ambiente urbano, in quanto possono essere in grado di eliminarli tramite assorbimento e successiva metabolizzazione. Tale rimozione avviene al livello della superficie delle foglie e nei tessuti vegetali, attraverso disattivazione dei gas per assorbimento dei composti tossici, inattivazione dei composti stessi nei tessuti cellulari, per precipitazione ed immagazzinamento, ed infine per utilizzazione dei composti medesimi, attraverso la metabolizzazione ossidativa delle piante.
Alcuni studi mettono a disposizione significativi dati quantitativi circa la riduzione effettiva di taluni inquinanti gassosi.
Negli USA, è stato riscontrato che la vegetazione è capace di rimuovere dall’aria ad essa circostante alcuni inquinanti, nella misura a fianco di ciascuno indicata nella seguente tabella:
Riduzione di inquinanti nell’atmosfera, intorno alla vegetazione (13).
MONOSSIDO DI CARBONIO (CO) |
2500 |
m g/mq ora |
CLORO (Cl) |
2000 |
m g/mq ora |
FLUORO (Fl) |
100 |
m g/mq ora |
OSSIDI DI AZOTO(NO) |
2000 |
m g/mq ora |
OZONO (O3) |
80000 |
m g/mq ora |
PAN |
2000 |
m g/mq ora |
ANIDRIDE SOLFOROSA (SO2) |
500 |
m g/mq ora |
AMMONIACA (H2 NO4) |
400 |
m g/mq ora |
Anche il piombo contenuto nell’aria può essere ridotto dalla presenza delle piante.
Non bisogna trascurare che le condizioni ambientali possono influire sull’assorbimento delle sostanze inquinanti da parte delle piante, aumentandone il ritmo di rimozione (14), o in alcuni casi esaltarne l’azione dannosa. Condizioni di ristagno dell’aria (nebbia) o di siccità possono acutizzare fenomeni di intolleranza per le specie sensibili. In particolare, in città come Milano, la scarsa ventilazione e l’elevata umidità dell’aria aggravano i danni provocati dall’inquinamento e in particolar modo dagli ossidi di zolfo. In queste situazioni si è comunque riscontrata una maggiore funzionalità delle conifere, rispetto alle piante a foglia caduca, nonostante queste ultime siano in grado di rimuovere le sostanze inquinanti accumulate, tramite la caduta delle foglie in autunno. Le sempreverdi sono difatti efficaci anche in inverno (quando l’inquinamento è massimo) ed inoltre evitano che le sostanze accumulate dalle foglie vadano a depositarsi nel suolo.
Le specie più resistenti possono altresì contribuire, in modo attivo, all’intercettazione e successiva filtrazione delle polveri presenti nell’atmosfera. L’azione "filtro" è proporzionale al diametro delle particelle e risulta più efficace in foglie poco mobili e con epidermide rugosa. E’ stato, inoltre, dimostrato che l’efficacia della rimozione delle polveri risulti maggiore nelle conifere, piuttosto che nelle piante decidue. E’ stata, infatti, registrata una diminuzione delle polveri nell’atmosfera pari al 38 - 42%, ad opera delle piante sempreverdi, e dal 27 al 30%, da parte delle specie decidue. Si ritiene, infine, che, complessivamente, l’azione "filtro" possa raggiungere valori variabili da 200 a 1000 Kg/ha (15).
Bibliografia:
(1) |
Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; Stato dell’arte delle ricerche concernenti l’interazione energetica tra vegetazione ed ambiente costruito. In: QUADERNO n° 13, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per l’edilizia ed il risparmio energetico, Palermo, settembre 1987, p. |
(2) |
Cfr. BETTINI VIRGINIO; Elementi di ecologia urbana. Ed. Einaudi, Torino, 1996, p. |
(3) |
Cfr. BETTINI VIRGINIO; op. cit., p. |
(4) |
Cfr. BETTINI VIRGINIO; op. cit., p. |
(5) |
Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p. |
(6) |
Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p. |
(7) |
Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p. |
(8) |
Cfr. AA.VV.; Ecologia delle aree urbane. La riqualificazione delle zone in disuso. Ed. Guerini Studio, Milano, 1990, p. |
(9) |
Cfr. BETTINI VIRGINIO; op. cit., p. |
(10) |
Cfr. ALBERGONI F. G.; Verde in città. In: ACER , n° 4, luglio/agosto 1987, p. 41. |
(11) |
Cfr. WILMERS FRITZ; Green for melioration of urban climate. In: ENERGY AND BUILDINGS, n°11, 1988, pp. 289-299. |
(12) |
Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p. |
(13) |
Cfr. BERNATZKY A.; The contribution of trees and green spaces to a town climate. In: ENERGY AND BUILDINGS, n° 1, 1982, pp. 1-10. |
(14) |
Cfr. LORENZINI G.; Le piante e l’inquinamento dell’aria. Edagricole, Bologna, 1983. |
(15) |
Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p. |